FUGGIRE LA TRAPPOLA DELLE SUGGESTIONI
Prosegue il racconto sul Baro Rom alla veglia funebre di Giangagava.
Il bambino incaricato di narrare la storia recita, gonfiando le vocali: «dicono che il Baro rom sia stato mangiato da una balena, ma che alla fine la balena lo abbia sputato perché era un osso troppo duro da digerire. Altri dicono che sia stato catturato dai pirati, che lo volevano uccidere, ma lui come ultimo desiderio gli chiese di raccontare la sua storia, e tutti i pirati a ridere e piangere, e, insomma, alla fine lo fecero diventare il loro capo, e come capo dei pirati girò per tre anni mietendo paura e dolore. Io credo più a quest’ultima storia, e nelle isole del sud ancora oggi raccontano di un marinaio forte, bello, astuto, stanco di guerra che una volta ha ucciso un gigante facendo felice tutti gli abitanti dell’isola. Il marinaio era uno che voleva tornare a casa, cioè da me: era mio padre».
Per raffigurare questo scenario senza cadere in suggestioni troppo facili, o, meglio ancora, per fuggire dalla trappola delle suggestioni, è necessario ancorarsi a una fantasia solida che, senza perdere nulla in candore e stupore, poggi su un’arte serenamente dispiegata come quella di Piero di Cosimo. La battaglia artistica qui è raggiungere la sua stessa grandiosità scenografica senza rinunciare alla verità essenziale dei suoi colori.
Nell'immagine, uno dei bozzetti preparatori delle figurazioni che Veronica Leffe sta realizzando per I semi di Gianagagava, secondo capitolo del Libro azzurro.
Testo di Pier Paolo Di Mino.
Ricerca iconografica a cura di Veronica Leffe.