UNA CATENA DI PENSIERI
Il libro azzurro, come forse ogni libro, è una biblioteca potenziale. Una biblioteca può essere un catalogo di libri oppure una catena di pensieri.
Quei pensieri, direbbe Heidegger, che comunicano tra di loro, travalicando i limiti finalmente vinti del tempo e dello spazio così come i confini imposti da questa chimerica fantasia dell’individuo, parlando nelle menti di persone così vicine e così lontane. Pensieri notturni, spesso. Pensieri consumati lentamente, con piacere e dolore febbrile, in celle monacali, in galere buie, in camere postribolari, in stive di navi o nel fondo di carovane dirette non importa dove. Pensieri non necessariamente notturni, che si sono impossessati della mente, in un bagliore o in una folgore, davanti dall’evanescenza irresistibile delle cose, quando questa rimanda a non si sa quale vertiginosa e spaventosa certezza circa il manifesto segreto della realtà. Pensieri, quindi, che confondono la notte e il giorno con un tremore in cui si mescolano il piacere e la sofferenza. Questi pensieri, del resto, hanno la cadenza degli uccelli, e i numeri che compongono il loro metro si misurano con quelli che regolano il giro delle stelle, e la loro esattezza, anche se ci spinge in un abisso, ci impone una fedeltà alla quale difficilmente ci si può sottrarre. A molti, o, forse, a tutti, a tutti coloro che si sono dovuti ritrovare, al di là del tempo e dello spazio e di sé stessi, in quelle celle monacali, in quelle galere buie, in quelle camere postribolari, in quelle stive di navi o nel fondo di carovane dirette non importa dove, a tutti quelli che si sono ritrovati davanti dall’evanescenza irresistibile delle cose, è capitato, una volta o l’altra, di maledire quei pensieri. Anche questo è vero. Eppure, alla fine, come arresi a un voto che si deve alla bellezza e all’anima e all’amore e all’immaginazione, tutti si sottomettono al lavoro lungo e interminabile, faticoso e senza ricompensa, di comporre e riporre quei pensieri. C’è un luogo dove farlo. C’è e non c’è. È una biblioteca potenziale. Somiglia, è ovvio, a un labirinto. Ma c’è che vi vede anche la macchina portentosa di una catalogazione terminale concepita per la fine dei tempi. O, ancora, i penetrali proibiti di un tempio spaventoso: Babele, Ninive, Alessandria. Del resto, guardando meglio, vi si vede anche un deserto.
L’immagine è un’illustrazione di Erik Desmazieres per "The Library of Babel" (1997).
Testo di Pier Paolo Di Mino
Ricerca iconografica a cura di Veronica Leffe